Il Sambuco (sambuicus) costituisce una specie botanica con una lunga storia, risalente all’antichità. Segni delle bacche di Sambuco sono stati persino scoperti in insediamenti neolitici, testimonianza della sua presenza da tempi immemorabili. L’uso di questa pianta è altrettanto antico. Sembra che le popolazioni greche fossero ben familiari con il Sambuco e, secondo Plinio, utilizzavano il legno della pianta svuotato del midollo per costruire strumenti musicali chiamati Sambyké, simili ai flauti.
Erano note anche le proprietà curative del Sambuco, attribuite da Galeno, Plinio e medici arabi. Si credeva che questa pianta avesse il potere di curare disturbi nervosi, dolori alla testa, emorragie (inclusi gli sanguinamenti dal naso) e persino ustioni cutanee. Tuttavia, il suo uso più diffuso era come sudorifero e debolmente antinevralgico nei fiori, e come leggero lassativo nei frutti.
In particolare, la tradizione popolare ha sfruttato questa proprietà per creare un estratto noto come “roob di Sambuco”, noto per le sue proprietà lassative e diuretiche, una pratica raccomandata anche da Alberto Magno nel suo celebre trattato “De Virtutibus Herbarum”.
Oggi, il Sambuco continua a essere apprezzato per le sue molteplici qualità. I fiori vengono utilizzati per preparare uno sciroppo rinfrescante, per la produzione di Sambuca e altre bevande alcoliche, nonché in erboristeria per la loro azione diaforetica. Nell’ambito culinario, vengono impiegati nella preparazione di un pane tipico chiamato “Pani cu Savucu”, marmellate e persino fritti.
Tuttavia, è fondamentale fare attenzione a non confondere il Sambuco con il Sambucus Ebulus (chiamato Ebbio per distinguerlo dal Sambuco commestibile), le cui parti della pianta sono tutte tossiche a causa della presenza di cianuro e vari alcaloidi. Le uniche eccezioni sono i fiori e le bacche mature, ma i semi al loro interno risultano tossici.